Chef Kaba Corapi, una lunga storia d'amore con la cucina
Prima di tutto una breve presentazione di Chef Kaba Corapi.
Sono una Personal Chef professionista nonché Consulente per la ristorazione, una laurea in Giurisprudenza conseguita nel 2000 e l’abilitazione da avvocato nel 2004.
La mia storia d’amore con la cucina dura da sempre e nel 2008 ho deciso di lasciare la carriera legale per investire in una solida formazione da cuoca, già intrapresa a livello amatoriale durante l’università: ho frequentato varie scuole professionali di cucina e fatto stage in società di catering e banqueting; inoltre ho frequentato i tre livelli del corso professionale per sommelier AIS.
Come Personal Chef mi occupo di ideare e realizzare eventi culinari su misura per privati e aziende; da consulente invece seguo sia le start-up che le realtà ristorative già esistenti che vogliano costruire il proprio successo su basi concrete, per strutturare la loro impresa e renderla profittevole.
La sua idea di cucina: ricerca e innovazione o tradizione e rispetto delle conoscenze consolidate?
Banalmente, potrei risponderle che l’innovazione senza conoscenza e padronanza della tradizione rischia di tradursi in manierismo fine sé stesso. Ma senza la ricerca l’adagiarsi sulle conoscenze consolidate riduce la cucina a un immobilismo che oggigiorno non è più concepibile per tante ragioni: che vanno dalla curiosità per il nuovo alla necessità di rendere più performanti e sostenibili i processi di cucina. L’elemento cardine della mia idea di cucina e, conseguentemente, del mio percorso è un altro, che personalmente reputo ancora più essenziale e fondante: l’identità. L’individuazione e definizione di una identità chiara e coerente, sia essa territoriale o concettuale, è essenziale per costruire una proposta ristorativa differenziante efficace nel raccontare chi siamo e, dunque, per gettare le basi di un successo in grado di durare nel tempo.
La comunicazione digitale ha fatto letteralmente esplodere l’interesse per tutto ciò che è cibo: ci aiuta a capire a cosa dobbiamo guardare e di chi, invece, dobbiamo diffidare?
Personalmente diffido soprattutto di due categorie, che in questo momento storico soprattutto sui social media sono largamente rappresentate: i “fenomeni” ed i “fuffa-guru”. In parole semplici, mi convince poco chi deve strillare al pubblico per ottenere attenzione o chi cerca la provocazione a tutti i costi, purchè se ne parli. È questione di gusti, probabilmente di affinità, ma le persone, professionisti della ristorazione e dell’accoglienza che stimo di più sono accomunati dalla capacità di comunicare in modo sempre rispettoso, incisivo ma garbato, lasciando che a parlare sia l’identità che esprimono attraverso il proprio lavoro. Allo stesso modo mi lasciano perplessa alcuni sedicenti esperti nel settore della ristorazione, che sono interessanti da osservare come fenomeno di personal branding perché mettono in campo strategie di marketing “digitale” piuttosto aggressive, ma di cui spesso non si riesce a comprendere quali siano le effettive competenze e come (ma soprattutto se) le abbiano maturate.
A chi vuole avvicinarsi alla professione quale consiglio si sente di dare?
Anzitutto di non improvvisare, di avere la lungimiranza e l’umiltà di investire nella propria formazione che, sottolineo, non si esaurisce nella frequentazione di un corso di cucina ma è fatto di studio costante, di disciplina, ricerca, aggiornamento e naturalmente di tanta esperienza sul campo. La curiosità è una leva molto potente perché ci rende recettivi e pronti ad imparare da ogni persona che incontriamo, in ogni contesto. Lo è senza dubbio anche la passione, ma trovo molto pericoloso far passare il messaggio la stessa basti per far funzionare e durare nel tempo un ristorante: oggi più che mai servono solide competenze che vanno oltre il saper cucinare bene; la ristorazione è un’attività d’impresa, anche molto complessa.
Anche nel mondo dell’alta cucina emerge una questione di parità di genere: troppi uomini Chef e poche donne. Come colmare questo gap?
Ci sono diversi aspetti da considerare, a cominciare dalla necessità di promuovere un vero e proprio cambiamento culturale in tutti quegli ambienti lavorativi, fra cui la cucina, nei quali ancora oggi alle donne spesso si richiede di adattarsi a dinamiche estranee o comunque lontane dal loro modo di sentire, per ottenere rispetto della propria persona e del proprio ruolo. E su questo c’è ancora tanto da lavorare, nell’interesse delle lavoratrici come dei lavoratori poiché in un clima di rispetto e di collaborazione tutti ci guadagnano. Un altro spunto di riflessione molto interessante però, a mio avviso, lo stanno offrendo le scelte coraggiose operate da Chef importanti, che stanno mettendo in discussione il modello tradizionale che vuole la ristorazione inconciliabile con la possibilità di avere una vita anche al di fuori del ristorante. Si comincia a fare strada (finalmente direi) il dubbio che rimodulare il lavoro dello staff per migliorarne la qualità della vita possa avere ripercussioni positive anche sull’esperienza complessiva che si è in grado di offrire al cliente.
Diamo uno sguardo al mondo delle guide e dei riconoscimenti: croce e delizia per tutti gli Chef. Sono davvero necessari?
Necessari forse no, utili sicuramente nella misura in cui possono contribuire a dare il giusto risalto al lavoro di professionisti in grado di lasciare il segno nel mare magnum della ristorazione; essenzialmente da “maneggiare con cautela”.
Crede che il dopo Covid-19 porterà a cambiamenti radicali nel modo di cucinare?
Non credo, in tutta onestà. Piuttosto mi verrebbe da dire che il mondo della cucina conosce delle “mutazioni” cicliche e che, forse, alcuni cambiamenti che vengono ricondotti alla crisi post pandemica sono solo l’onda lunga di un fenomeno che si stava manifestando già precedentemente. Senza dubbio il momento attuale impone più di una riflessione. Quello che auspico è che si vada nella direzione di recuperare un maggior senso di responsabilità nell’approcciare la cucina nella sua accezione più ampia: la responsabilità per cuochi e ristoratori di mettere a punto proposte che rispecchino una identità chiara del progetto, coerente con il tipo di esperienza che promettono e di riappropriarsi del gusto autentico dell’ospitalità. Ma anche da parte degli ospiti, affinchè tornino ad assaporare il gusto del cibo, dismettendo i panni di giudice-da-reality/chef-in-pectore e a mostrare il dovuto rispetto per il lavoro altrui evitando pratiche tanto odiose quanto dannose come il cosiddetto “no show”, tanto per fare un esempio.
Tre cose che la fanno davvero arrabbiare quando sente parlare di cucina?
La sciatteria di chi fa le cose con approssimazione per mancanza di impegno. La prosopopea di chi non si confronta dando per scontato di essere bravi. La “fuffa” (!).
Vuole ringraziare qualcuno per l’esperienza maturata?
Ho avuto la fortuna di incontrare tante persone nel mio percorso professionale e personale, che sono state fonte di ispirazione. Voglio però cogliere questa occasione per ringraziarne una in particolare: Sandro Masci, Chef e giornalista, non soltanto per avermi trasmesso con grande generosità e rigore tecniche di cucina ma soprattutto, cosa ben più importante, per avermi dato fiducia spronandomi a credere nel mio valore e per essere rimasto nel tempo un punto riferimento.
(mar.val.)
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